Gli ultimi giorni a Gan, Maldive, sono dedicati allo studio della situazione meteo. La navigazione che ci aspetta non è lunghissima, 290 miglia per raggiungere il primo atollo dell’arcipelago Ghagos (British Indian Ocean Territory – BIOT).
Sabato 26 maggio 2018
C’è un’importante decisione da prendere: tenendo conto che è imperativo arrivare di giorno, con il sole alto, è meglio partire la sera, prima del buio, oppure alle prime luci dell’alba?
Nel primo caso: tre notti in mare, con arrivo a metà mattina, a condizione di tenere una velocità media inferiore a 4 nodi e mezzo (altrimenti si arriva con il sole ancora basso). Nel secondo caso: due notti in mare, arrivo nel primo pomeriggio, a condizione di tenere una velocità media di almeno 5 nodi (altrimenti si arriva con il sole già calante). La rotta è 192° e tutto dipende dalle condizioni: la corrente contraria è assicurata, la variabile è la direzione del vento.
Le barche partite qualche giorno prima di noi hanno scelto di salpare al mattino presto; il vento era da est, ed avrei fatto anch’io la stessa scelta. Nel nostro caso le previsioni danno il vento da sud, che solo nelle ultime 100 miglia dovrebbe girare a SE.
Un altro dubbio è se portare il gommone in coperta o lasciarlo a poppa appeso alle gruette. Ma l’ultimo giorno riceviamo una mail di Paul, armatore dell’Halberg Russy New Dawn, che insieme alla sua posizione riferisce lo stato del mare: big swell, mare formato. Il dubbio si scioglie: gommone in coperta!
Anche il dilemma sull’orario di partenza viene risolto, optando per la partenza serale: lasciamo Gan e le Maldive alle 17,45 di venerdì 18 maggio.
Entrambe le scelte si rivelano azzeccate. La prima notte con il vento da sud sui 18 nodi, più forte del previsto, fatichiamo a mantenere i 4 nodi di velocità, pur col motore a 1800 g/min. Abbiamo evitato l’ansia di vedere il gommone sballonzolato continuamente a destra e a sinistra dall’onda corta, di circa 1 metro e mezzo.
Passata la prima notte, la mattina di sabato 19 un vento da SSE sui 14-18 nodi ci consente una bella veleggiata che dura tutta la giornata, anche se ci porta 30° fuori rotta. Dovendo caricare le batterie, accendiamo il motore all’imbrunire, in modo da riavvicinarci alla rotta.
Dopo cena mi sembra di sentire uno strano rumore, proveniente dal vano motore. Scendo con la torcia, nessun rumore anomalo, ma la sentina è piena di un liquido oleoso. Sento la mia pressione sanguigna salire velocemente: da dove viene tutto quest’olio? Controllo minuziosamente motore e generatore, e tutta l’area intorno: nessuna traccia. Il liquido è chiaro, color caffè-latte, tipico di quando l’olio si mescola con l’acqua. Non senza apprensione continuo a ispezionare fino a quando trovo la spiegazione: una tanichetta di olio di scorta stipata alla base del generatore si è tagliata. La trovo quasi vuota, saranno usciti almeno 3-4 litri di olio. Fiuuu, che sollievo! è tutto da ripulire, sentina e pavimento, ma non è successo nulla di grave.
Dopo queste emozioni (di cui si farebbe volentieri a meno) continuiamo a motore per tutta la seconda notte; il vento è girato a sud, ma è calato sugli 8 nodi; anche il mare è diminuito, un’onda lunga da SE di circa 1 metro e mezzo si sovrappone ad un’onda corta da sud di circa mezzo metro; caliamo il numero di giri a 1600 e la velocità si mantiene mediamente sui 4,5 nodi.
Stimiamo una corrente est di circa 2 nodi, che combinata sulla nostra rotta si traduce in una riduzione di velocità tra 0,5 e 1 nodo.
La mattina di domenica 20 il vento ritorna da SE e riprendiamo a vela, l’angolo è migliore e il fuori rotta è solo di 15-20°. Calo la traina e nel tardo pomeriggio arriva la presa: un bel pesce che resiste alla cattura facendo capriole fuori dall’acqua, nel tentativo di liberarsi. Afferro la canna, dò un paio di strattoni perché l’amo affondi meglio ed inizio il recupero, ma …. il mulinello si stacca dalla canna, e per poco non cade in acqua. Impreco come si deve ma non desisto, metto il mulinello nel secchio e recupero la lenza a mano, facendola passare dalla bitta, pronto a dare volta quando tira. Recupero un centinaio di metri ammucchiando il filo in coperta. Quando arriva a 10 metri, quel figlio di p…esce riesce a liberarsi, lasciandomi non solo a bocca asciutta, ma con 120 metri di filo tutto aggrovigliato da districare!
Proseguiamo a vela fino alle 3 del mattino di lunedì 21 (è la terza notte), quando riaccendo il motore. Mancano 20 miglia alla pass di ingresso nell’atollo, ma siamo controvento, verso SE, e ora il vento è sui 12 nodi, giusto sul nostro naso; l’effetto della corrente est è cessato. Con il motore a 1600 giri non superiamo i 3,5 – 4 nodi di velocità, ma la cosa non ci preoccupa, perché abbiamo tutto il tempo che ci occorre. In teoria si sarebbe potuto fare un bordo a perdere di 20 miglia, ma preferiamo non rischiare di arrivare tardi.
Verso le 10 siamo sulla pass dell’atollo denominato Salomon Islands, completamente disabitato come gran parte dell’arcipelago.
Abbiamo i WP del passaggio, segnalati da Adina, la barca che come abbiamo già detto è passata di qui lo scorso anno; questi punti non corrispondono a quello che la cartografia mostra come possibile varco, ma li seguiamo pedissequamente, passando sopra i coralli, su profondità mai inferiori a 7 metri.
Alle 11.15 siamo davanti all’isola Fouquet, dove sono già ancorate ben 12 barche. Dopo un giro di perlustrazione caliamo l’ancora su un fondale di 22 metri (5°19.920’S 72°15.780’E). Il fondo non è visibile; dalla presa dell’ancora sembra sabbioso, ma ci sono anche ampie zone di corallo basso; comunque la prova di tenuta con 70 metri di catena è positiva. Siamo arrivati, anche questa è fatta!
Finita la manovra vediamo avvicinarsi un gommone con a bordo una coppia. Sono venuti a dirci: “Benvenuti alle Chagos, benvenuti in paradiso!”.È vero, siamo proprio in un paradiso selvaggio: a parte una ventina di navigatori, per tre settimane avremo intorno a noi solo gli uccelli marini, i pesci, e i granchi del cocco. Inutile dire che non ci sono connessioni, quindi… niente foto per ora!
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